giovedì 17 marzo 2011

Sulla fine della nostra società

La storia ci insegna che gli esseri umani si uniscono nel bisogno,
quando non hanno stabilità. Come fecero gli europei nel nuovo
mondo, come fecero gli italiani che migravano e si univano in
comunità e come hanno fatto e faranno altri popoli nella storia.
Si uniscono , si rafforzano e poi una volta superata la necessità
impellente, cominciano a pensare ognuno per se.
La stabilità momentanea raggiunta con l’unione e la fatica,
sembra, agli occhi degli uomini stabilissima e non capiscono
che essa altro non è che il frutto della costruzione unitaria e
armonica della società, cosa che deve continuare, pena
la cessazione del processo di crescita globale e la inesorabile
e lenta morte di un tipo di comunità.

La povertà, la voglia di benessere portano gli individui a
rinunciare a delle libertà o opportunità di sviluppo singoli,
in favore di una prosperità più diffusa. La classe, la etnia o
la civiltà avanzata, perde pian piano capacità e conoscenze
lavorative, donandole di fatto ai nuovi arrivati.
Basta guardarsi intorno e vedremo che i nostri pizzettari
son quasi tutti del Maghreb; le frutterie sono oramai cosa
del Bangladesh; oggettistica, ristorazione e abbigliamento
vanno ai Cinesi; Muratori, badanti e mano d’opera agricola
e pulizie varie sono per la gente dell’est. Ci ritroveremo
presto a non saper fare nessun lavoro manuale, avremo
veramente bisogno di loro, non saremo più in grado di
badare a noi stessi. Noi dietro ad inutili scrivanie e loro a
costruire il nostro paese ma, prima o poi se lo prenderanno
e non perché sono cattivi, non ce lo ruberanno mica,
saremo noi a donarlo loro. Il percorso è ovvio e scoperto,
strano è che i nostri padroni con la conoscenza storica
che abbiamo oggi, non facciano nulla per salvare la nostra
civiltà, la nostra cultura.
Che le civiltà antiche cadessero per lusso e noia può esser
giustificato per via della non conoscenza di alcuni dati ma,
che la stessa sorte tocchi a noi che studiamo la storia fin da
bambini e che sappiamo bene come vanno le cose, è ridicolo.
Quello che la storia ci da è un indizio prezioso, sta ai nostri
governanti metterlo in pratica. L’individualismo assoluto
verso cui andiamo, porterà inevitabilmente alla fine della
nostra cultura, non ci può essere progresso se non si da
almeno una parte di noi alla comunità, all’insieme.
Una società, una cultura è come un organismo, è vivo fin
quando ogni sua parte batte e si muove per il tutto.
Se non c’è unità, se non si va all’unisono la società muore,
si estingue. Questa è la sorte della nostra società se i nostri
governanti non si decidono ad alzare la testa dal ricco piatto
in cui mangiano, guardarsi intorno ed a governare veramente.
Questo è impossibile visto che quella che dovrebbe essere
la classe eletta dei migliori è nel nostro paese talmente corrotta
ed incapace da non poter, neppure volendo, metter freno
al danno da lei stessa causato. Vorrei fosse chiaro il fatto che
il mio non è assolutamente un attacco xenofobo ma solo la
volontà che quello che è il mio mondo, il mio modo di vivere,
le tradizioni di una vita e di tante vite non spariscano. Non è
una lotta interrazziale ma una lotta interna ad una stessa società,
la nostra. Il nostro mondo deve dimostrare di voler vivere,
di saper essere produttivo e non solo dal punto di vista
meramente economico ma nella morale, nella cultura.
Cosa è vivo nella nostra società?
Ritornando al discorso iniziale, l’unica via d’uscita è quella
di comprendere che siamo di nuovo nella situazione di bisogno,
si deve tornare ad unirsi, si deve tornare a ragionare anche
con il NOI e non sempre e solo con l’IO.
Se la prova che è questo periodo nero, non farà rinascere in
noi l’idea stessa di comunità, di unità d’intenti, di appartenenza,
allora vorrà dire che non ci sarà nulla da fare per la nostra società.

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